Prodotti e clienti diversi ma stand vicini e quindi possibilità di scambiare chiacchiere e opinioni nei momenti di calma. E’ la situazione in cui si trovano gli espositori italiani a Techtextil Nord America e Texprocess Americas, sia per chi è con Acimit e Ice nel padiglione italiano, sia per chi è presente sotto l’insegna del proprio rappresentante negli Stati Uniti.
Nel caso di Biancalani e Lawer si tratta di Symtech, che ha i propri spazi di fronte a quelli delle delegazione italiana di Acimit. Michele Gabarra è allo stand di Biancalani: “La prima mattinata è andata bene – dice – ed ho incontrato qualche cliente, meno bene il pomeriggio. D’altronde la fiera non è enorme e non possiamo pensare a grandi numeri. Chi ci conosce passa, anche se magari ci siamo visti a Itma, dove abbiamo lavorato senza sosta. Per il nostro prodotto, adatto a chi produce abbigliamento tecnico, protettivo e per la pubblica sicurezza è una fiera giusta e poi gli espositori stessi sono nostri clienti e quindi se oggi non li vedo sarò io ad andare da loro”.
“Qualcosa si sta muovendo anche nel mercato italiano – dice Filippo Lanaro di Lawer, azienda che ha prodotti che trovano applicazioni in molteplici settori, dall’alimentare alla cosmesi anche se il tessile è prioritario. Sono meno positivo di Gabarra per Techtextil North America ma è comunque importante esserci”.
Bene all’estero, un po’ meno in Italia è invece il pensiero comune di Michele Fassina (Rollmac Gemata) e Maurizio Pacini (Pugi Group), altri due espositori con stand confinanti, stavolta sotto i colori del padiglione italiano.
“Il primo giorno è andato bene, soprattutto se paragonato all’edizione precedente – dice Fassina – perché abbiamo avuto visitatori qualificati. Siamo qui per mettere la bandiera e presidiare il mercato, visto che gli Usa sono fuori dalla crisi. E poi dobbiamo esserci e bussare a tutte le porte; non venire sarebbe come ammettere di aver mollato. Il tessile tecnico d’altronde per le sue caratteristiche di nicchia potrebbe tenere lontana la concorrenza asiatica. L’abbiamo visto anche a Itma, che ha portato molti frutti positivi anche se con una differenza rispetto al passato, ovvero che prima l’onda era lunga e gli effetti della fiera si vedevano su un periodo più ampio, ora tutto è più concentrato e frenetico.
“Qui ci sono buoni segnali di ripresa – spiega invece Pacini – anche se parte dell’industria tessile americana si è spostata altrove. Ma chi è rimasto sta investendo o re-industrializzando, anche perché per ripartire o rinnovarsi nel tessile occorrono capitali rispetto ad altri settori come la siderurgia o altri. Poi a Techtextil North America c’è anche qualcuno che arriva dal Sud America e quindi vale la pena esserci”.
Poi l’opinione comune dei due, quella su un’Italia che arranca, con il tessile che cresce relegato al cassetto dei ricordi, con molte critiche a chi non investe e quelle, immancabili, a chi governa dimenticandosi di sostenere il settore ma ricordandosi bene di tasse e imposte (“va bene sostenere l’internazionalizzazione ma se ci pagano parte delle spese per venire alle fiere ma non ci consentono di investire su prodotti nuovo è inutile!”). Anche a migliaia di chilometri di distanza la disaffezione verso le istituzioni si fa sentire…