L'asta dei tessuti sequestrati: effetti negativi da non sottovalutare

La notizia dell’asta-record dei 4.500 chilometri di tessuti sequestrati l’anno scorso a un’azienda cinese di Prato ha degli effetti negativi, oltre all’incasso di 3 milioni di euro da parte dello Stato ricavati dalla vendita all’asta on line.

Lo sottolinea Confindustria Toscana Nord con una nota ufficiale. “E’ comprensibile che lo Stato cerchi di monetizzare e ricavare qualcosa da merce altrimenti giacente senza alcuna utilità – si legge nella nota – Si tratta di un’entrata importante per le casse pubbliche ma lo sarebbe stata anche per un’azienda corretta e legale che avesse voluto vendere propri tessuti – riconoscibili e tracciabili, con tutte le carte in regola rispetto alla legge – per quegli stessi usi per i quali verranno impiegati i tessuti sequestrati. Tessuti, questi ultimi, di cui a quanto pare non si sa niente, né da dove vengano né come sono stati realizzati e con quali garanzie di salubrità delle sostanze impiegate per produrli (fatta salva l’eventualità di controlli di laboratorio puntuali su tutta la merce: se sono stati fatti, sarebbe interessante sapere con quali esiti)”.

Senza contare che si è trattato di una vendita a peso a prezzi nettamente inferiori a quelli di mercato. L’effetto finale di questa operazione è che una quantità molto consistente di tessuti ignoti quanto a provenienza e caratteristiche chimiche e merceologiche viene commercializzata a un prezzo inferiore a quello di mercato, sostituendosi di fatto a una uguale quantità di tessuti legali che non verranno venduti.

“Non vogliamo contestare sul piano formale un’operazione che, essendo stata fatta da soggetti pubblici, evidentemente è del tutto legittima – commenta il presidente della sezione Sistema moda di Confindustria Toscana Nord Andrea CavicchiIntendiamo solo far riflettere su come l’illegalità finisca sempre per creare dei danni, perfino quando viene individuata e sanzionata. In questo caso, danni ingenti, che colpiscono in maniera indiretta aziende non necessariamente pratesi ma comunque legali che avrebbero potuto coprire con loro prodotti quella necessità del mercato. E, potenzialmente, anche danni per i consumatori, che acquisteranno capi di abbigliamento realizzati con tessuti il cui profilo ecotossicologico è probabilmente ignoto, così come caratteristiche merceologiche quali la composizione fibrosa. E’ una strada apparentemente senza uscita: queste merci o vanno al macero e lo Stato rinuncia a recuperare almeno un po’ delle risorse che spende per i controlli, oppure entrano nel flusso del mercato alterandolo e distorcendolo. Una riflessione sulle regole che governano aste giudiziarie di questo tipo andrebbe fatta, ma in realtà una terza via c’è: combattere a monte con maggior energia ed efficacia l’illegalità nel settore tessile, il contrabbando e la commercializzazione di prodotti non in regola, intervenendo quindi per prevenire questi fenomeni e non solo per reprimerli. Quando queste merci sono entrate in Europa e in Italia, il danno è già fatto e rimane forte, come dimostra questa vicenda”.

Condividi articolo