Difficile aggiungere qualcosa a ciò che è stato scritto sulla vita e sulla scomparsa del Sig. Nino Cerruti, moltissimo si è detto sulla sua attività di imprenditore illuminato, di stilista, di uomo del jet set internazionale. Vorrei però aggiungere un piccolo contributo legato all’uomo di fabbrica, dei sabati mattina trascorsi alla “barella” di controllo dei “tipi nuovi”, proprio accanto alla rameuse. Sì, perché il Sig. Nino controllava personalmente tutti i nuovi progetti dopo il “bagnato” e prima dell’“asciutto”, perché era lì che si “capiva” la stoffa nella sua essenza. Noi, giovani disegnatori tutti intorno, e il Sig. Nino con quelle grandi mani che analizzava stoffe e uomini, riuscendo a vedere ciò che entrambi promettevano.
Mio titolare a cavallo fra anni 80 e novanta, il Sig. Nino era all’apice del suo successo internazionale, dirigendo dagli uffici di Place de la Madeleine la “Maison”, Hitman, Flying Cross e Lanificio Cerruti 1881. Ogni tanto veniva in lanificio e, attorno a quella “barella” di tessuti, con le maniche arrotolate della camicia Vichy portata sopra una maglietta blu navy, ci diceva di non finire i nostri tessuti troppo “per benino” perché i tempi stavano cambiando e si andava verso un mondo di finissaggi non troppo “leccati” e schiacciati. A volte indossava con naturalezza indumenti rammendati dalle rammendatrici del lanificio; quei lavori eseguiti ad arte avevano lo stesso sapore del “kintsugi”, l’arte giapponese di riparare la ceramica con l’oro al fine di renderla ancora più preziosa. E ci raccontava di un mondo che si sarebbe trasformato da potenza ad atto in pochi anni, con quella competenza informale ed elegante propria di chi si trova a proprio agio sia ad Hollywood sia in via Cernaia a Biella.
Aveva molta fiducia nei giovani, molta di più di quella che avevamo noi stessi in noi stessi, poco più che ventenni già disegnavamo la collezione tessuti sotto la sua direzione. Quando progettavamo i “tipi prova” della nuova collezione cercavamo di realizzarli color “benzina”, “salvia” o “finanza”. Erano palette di colori amate dal Sig. Cerruti, sapevamo dell’episodio in cui fece sfilare per via Veneto 40 Lancia Flaminia Spider verniciate in ottanio con una splendida Anita Ekberg fresca di “Dolce Vita” vestita dello stesso colore.
Il suo modo di ispirarci era molto suggestivo ed affascinante. Ancora adesso, nelle cene con i colleghi di quel tempo, ne ricordiamo alcune; “fatemi un tessuto come un televisore che non riceve”, oppure allusioni al Suo grande amore per la cinematografia, “usate una paletta di colori virulenti come Twin Peaks”.
Ed è nel mondo di Hollywood che il Sig. Nino lasciò uno dei suoi segni maggiori; il suo nome appare in un centinaio di pellicole, alcune delle quali indimenticabili. In “American Gigolò” I trench della Hutton fanno da controcanto ai completi “atonali” indossati da Richard Gere e disegnati da Giorgio Armani, il Suo più illustre allievo. Sono Cerruti i look più indimenticabili di Michael Douglas, super gessato nell’ interpretazione di Gordon Gecco in “Wall Street” e nei completi casual chic di “Basic Instinct”. Sempre Cerruti è l’Outlook di Sir Antony Hopkins ne “Il silenzio degli innocenti”. A Tokio nel 2016, i mitici magazzini Isetan hanno fatto una formidabile rievocazione sviluppata su tre piani del Department store; vari designer fra cui Lardini, Tagliatore, Paul Smith, Giovanni Bianchi, Belvest e LBM1911 hanno rivisitato lo stile delle pellicole e dell’archivio storico del lanificio.
Tutti questi tessuti nascevano su di una barella, accanto ad una rama, in un lanificio con i muri dipinti a colori mimetici retaggio del tempo di guerra, fra le grandi mani di un uomo in maniche di camicia Vichy.
Ps. Il tessuto “come una televisione che non riceve” lo realizzammo ordendo due jaspe ottenuti al filatoio da stoppini di colore contrastato e tessendo nero in armatura tela. Grazie, Sig. Nino.
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