In un mondo che cambia a velocità talvolta eccessiva anche i confini diventano un fattore relativo, compresi quelli dei settori economici. Anche per questo la Cina si sta in parte adeguando alle necessità della globalizzazione: niente più visto d’ingresso per entrare nel paese, via libera alla presenza di brand di moda all’estero.
Una porta girevole della quale beneficeranno alcuni aziende che, a settembre, saranno ospiti di The One Milano con un evento che si chiamerà Moda China in Italy, sulla falsariga di Fashion China al recente Who’s Next di Parigi. Una ventina di brand voleranno in Italia per dare dimostrazione del livello raggiunto dai designer locali (nella foto grande la sfilata di William Zhang).
Ad annunciare la novità è stato Chen Dapeng, presidente dell’associazione cinese dell’abbigliamento, durante il consueto punto su Chic, che ha chiuso i battenti venerdì a Shanghai dopo tre giorni di intensi scambi commerciali.
Dapeng ha iniziato l’analisi proprio dai cambiamenti arrivati durante e dopo il Covid, dicendo però che mentre il mondo cambia “la fiera rimane un punto fermo per il settore della moda cinese”. Il salone, arrivato al 31′ anno di età, è ad un nuovo punto di partenza: “Negli anni dello sviluppo – ha continuato Dapeng – abbiamo avuto tanti padiglioni internazionali mentre ora siamo tornati ad una dimensione più domestica a causa della pandemia, ma l’intenzione è ovviamente di riportare a Shanghai anche gli stranieri, che pure sono presenti anche a questa edizione. Non dipende solo da noi, che abbiamo portato già 200 espositori cinesi in più, ma anche dai veri espositori internazionali”.
Poi, proprio parlando di The One Milano, ha fatto un’altra analogia con l’Italia: “Siamo una nazione con un ampio territorio – ha spiegato il presidente – ed anche noi abbiamo i clusters, i distretti che lavorano su determinate tipologie di prodotto, come l’Italia ha Prato, Biella e Como. E un po’ di competizione c’è, quindi dobbiamo lavorare di squadra. Adesso la spinta maggiore arriva da sportswear e outdoorwear”.
Infine una nota sul digitale e sull’affermazione di brand cinesi nell’e-commerce, con un primo riferimento a Shein arrivato da un giornalista straniero: “La stoffa e i vestiti hanno bisogno di essere toccati – ha concluso – quindi i saloni hanno ancora un valore. Alcuni brand però non rappresentano la manifattura cinese, sono piuttosto un’industria a se stante”.