Artigianato, un duro lavoro che trasmette emozioni

L’artigianalità come patrimonio del made in Italy, il saper fare italiano da preservare e tramandare, l’unicità di alcuni lavori da insegnare ai più giovani, a dispetto di un mondo che gira sempre più veloce quando invece la maestria ha bisogno di tempo, pazienza e tanta volontà.
L’occasione per parlarne con esperti e addetti ai lavori è stato il convegno “Fashion italiano nel mondo”, organizzato da Ernst & Young. Un focus su una moda che arriva nelle boutique col nome dei grandi brand dopo un percorso che attraversa fasi di lavorazione in cui il sapere dell’artigiano è determinante, segna la differenza tra un prodotto anonimo e uno unico, tra un dettaglio dozzinale e una particolarità irripetibile.

Alla tavola rotonda “Produzione e artigianalità della filiera Made in Italy”, hanno partecipato Giulia Bianchi e Laura Nardi, giovani imprenditrici che stanno rilanciando il brand Bianchi e Nardi 1946, Sofia Ciucchi, vice direttore generale di Salvatore Ferragamo, Brunello Cucinelli, Antonio De Matteis, ad di Kiton, Monica Sarti stilista e ideatrice de L’Accessorio di Faliero Sarti, Maurizio Setti, patron di Manila Grace e presidente dell’Hellas Verona e Andrea Tessitore, ceo di Italia Independent.
Un parterre de roi che non poteva non spostare la discussione su alti livelli, con testimonianze, richieste, a volte denunce e critiche che hanno dato vita ad un dibattito intenso, iniziato con dati certamente non incoraggianti, come i 97.000 occupati persi negli ultimi dieci anni nell’indotto moda e le 8.000 aziende della filera chiuse nello stesso periodo.

Brunello Cucinelli, che dell’artigianalità, della passione e della passione per il lavoro fa un dogma che esula dalla redditività e dai fatturati non si pone problemi prettamemnte economici: “Non dobbiamo pensare a come e cosa venderemo nel futuro prossimo – ha esordito – ma su come a fare a mantenere il livello di quello che vendiamo. Noi abbiamo un indotto di 350 micro-imprese con al massimo 15 dipendenti e con un’età media di 41 anni ma l’artigiano non deve preoccuparsi dell’economia ma della produzione. E di artigiani che tramandano il sapere ce ne sono sempre meno, perché quello è un lavoro che per tutti è bello ma che è bene che facciano i figli degli altri”.

Più pragmatico Antonio De Matteis, che vede comunque nei soldi un modo per incentivare l’artigianato: “Da noi un sarto – spiega – arriva a prendere 41.000 euro l’anno ma altrove non si arriva a 26-27.000. Quando si lavora otto ore al giorno bisogna avere ‘l’animo buono’, anche perché spesso il lavoro dell’artigiano è ripetitivo, basato su gesti ricorrenti, fatti per anni e anni. Se con i nostri 780 addetti avessimo voluto limare sugli stipendi avremmo 7-8 milioni all’anno in più; invece già quindici anni fa abbiamo dato il via alla scuola di sartoria per dare continuità al lavoro e per abbassare l’età media, che è arrivata a 37 anni. Io, con 51, sono il più vecchio. Noto poi con piacere che mentre prima i saperi erano conservati gelosamente, adesso c’è più disponibilità a condividerli con i giovani”.

Mercato più accessibile e prodotti diversi dai due precedenti relatori per Setti e la sua Manila Grace: “Abbiamo comunque una forte propensione al made in Italy – ha spiegato l’imprenditore campigiano – e assicuriamo un fatturato di 4-5 milioni ai nostri fornitori, che sono insostituibili. Con un milione e 300 mila capi venduti ci siamo dotati di una figura professionale che fa da raccordo tra l’azienda che commercializza il prodotto finito e l’artigiano che la confeziona. Controlliamo ovviamente qualità e condizioni di lavoro dei fornitori, ma non possiamo farlo con i sub-fornitori”.

Non ha produzione interna ma una filiera quasi tutta toscana, con fornitori anche nelle Marche e in Campania Salvatore Ferragamo: un universo di piccole realtà artigianali e solo poche aziende con un centinaio di dipendenti: “Sono gruppi di artigiani fidelizzati – ha spiegato Sofia Ciucchi – con i quali spesso basta una stretta di mano che dura da 50 anni per andare avanti nel lavoro. Non siamo mai entrati nel capitale di queste aziende, lasciandole autonome, ma ci siamo fatti carico dei sub pagamenti e le abbiamo integrate da un punto di vista informatico. La filiera ha bisogno di bravi artigiani, siamo in un mercato ormai aperto e quindi possono essere anche stranieri, l’importante è che siano preservate leggi e qualità”. Sul problema del ricambio generazionale Ciucchi ha un’idea molto attuale: “Alcuni reality televisivi hanno spostato l’attenzione e la curiosità di migliaia di persone verso la professione di cuoco. Bisognerebbe creare il reality per artigiani. Ed è un peccato che in tutta la provincia di Firenze non esista una scuola superiore tecnico professionale della moda”.

“Perché non riconoscere la bravura degli stranieri? In Cadore ci sono cinesi che in pochi anni hanno imparato il lavoro e sono bravissimi – ha commentato Tessitore – ma è determinante che si continui a vedere l’Italia come laboratorio di ricerca e sviluppo e di concludere l’iter per la tutela del made in Italy, perché mentre noi ne parliamo gli altri ci copiano”.

Chi ha un prodotto, per sua ammissione, più facilmente copiabile è Monica Sarti: “Le mie sciarpe sono una striscia di tessuto con una stampa – ha detto – e me le sono inventate quando mi sono accorta che non trovavo una mia collocazione in azienda. Adesso, dopo che la Cina ha creato un mercato di prodotti stra-sfruttati, si sta tornando ad apprezzare il made in Italy al 100%, che ha una qualità e un’artigianalità che spesso ne giustificano il prezzo”.

Sono alla terza generazione imprenditoriale Giulia Bianchi e Laura Nardi, rispetivamente responsabile legale e presidente di Bianchi e Nardi 1946: “I nostri nonni ed I nostri padri – hanno spiegato – hanno fatto dell’artigianalità un obbligo e un punto di orgoglio. Ora dobbiamo essere capaci di plasmare le caratteristiche dell’artigianalità sul processo produttivo di carattere più industriale delle grandi firme, visto che lavoriamo anche in partnership con brand del lusso e lo facciamo utilizzando una filiera al 100% italiana, dal taglio della pelle alle finiture, che ha un raggio massimo di 30 chilometri dalla nostra sede di Scandicci”.

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