Made In, è rivolta

La Commissione Europea, per una volta, ha messo tutti d'accordo. Peccato che sia successo su un tema che unisce tutti nelle proteste e nelle accuse, talvolta anche pesanti: l'etichettatura obbligatoria, che obbligatoria non sarà. All'indomani dell'inattesa e sgradita notizia il mondo imprenditoriale e produttivo italiano è in subbuglio.
“La decisione della Commissione europea di stralciare la proposta di regolamento UE sull’etichettatura obbligatoria per i prodotti provenienti da Stati extraeuropei – dice il presidente di Sistema Moda Italia Michele Tronconi – mi ha profondamente deluso. Mi colpisce ancora di più, perché non poteva giungere in un momento meno opportuno, con l’industria Tessile e Abbigliamento che fatica quotidianamente ad uscire dalle secche della crisi economica e del declino dei consumi europei. Spiace constatare come, ancora una volta, le Istituzioni politiche che dovrebbero essere vicine ai cittadini ed alle imprese, abbiano invece deciso di voltarsi dall’altra parte, cancellando con un tratto di penna anni di faticose battaglie in nome della trasparenza, a beneficio di consumatori e imprese, italiani ed europei. Francamente ho difficoltà a capire il significato di alcune decisioni che, irresponsabilmente, contraddicono ogni logica e buon senso: come si fanno a preservare posti di lavoro nella UE e a promuovere la crescita economica se non si valorizza la produzione europea, consentendo ai consumatori dei 27 Stati membri di compiere scelte di acquisto libere e pienamente informate?
Anziché parificare i consumatori europei a quelli di altri Paesi, quali USA, Giappone, Cina, Canada, Australia, finiamo per farci del male da soli, promuovendo opacità e masochismo a scapito di trasparenza ed efficace regolamentazione. L’amarezza che provo è ancora maggiore, perché decisioni come quella assunta dalla Commissione UE martedì scorso non sono purtroppo fenomeni isolati. Brucia ancora la sconfitta subita sul fronte del Pakistan, ai cui prodotti altamente competitivi la UE ha concesso in maniera immotivata ingresso a dazio zero sul territorio comunitario. E dobbiamo ringraziare il Parlamento Europeo se in quell’occasione siamo riusciti a contenere in parte i danni. Con l’impulso determinante di alcuni coraggiosi parlamentari italiani a Bruxelles, in prima fila nella lotta a favore del Made in, il Parlamento Europeo è l’unica istituzione comunitaria che ha ancora a cuore gli interessi del comparto manifatturiero e che testimonia con la sua azione il significativo divario esistente fra l’Europa dei popoli e quella dei Governi. Mi chiedo, infatti, dove fosse il Governo italiano quando si è trattato di opporsi allo stralcio del regolamento. Perché non ha potuto, o non ha voluto, sostenere gli interessi di chi assicura posti di lavoro in Italia e nella UE, spesso a costo di grandi sacrifici? Qual è il messaggio che si vuol far passare? Se alla base c’è un disegno di politica economica che può fare a meno del manifatturiero, ci dicano in quali nuovi settori potranno trovare lavoro tutti quelli che lo perderanno nei comparti del made in Italy, a partire dal Tessile e Abbigliamento”.
Critiche a pioggia anche dai distretti, vedi Prato, dove il presidente dell'Unione Industriale Andrea Cavicchi ci va giù pesante: “La decisione della Commissione Europea di ritirare il regolamento per la denominazione di origine dei prodotti extraUE, atto approvato a larghissima maggioranza dal Parlamento europeo (l’unica istituzione europea eletta dai cittadini) nell’autunno del 2010, appare grave e contraddittoria. Grave perché evidentemente il concetto di democrazia e trasparenza della Commissione Europea non è il nostro, andando a disconoscere un atto espressione della volontà popolare. Contraddittoria perché solo poche settimane fa in un incontro a Bruxelles sono state annunciate politiche a sostegno del manifatturiero con addirittura un piano per la reindustrializzazione. Contradditoria anche perché siamo stati abituati ad una iperregolamentazione su quasi tutti i prodotti e solo su questo tema appaiono resistenze quantomeno sospette. Appare ancora più grave se si considera che in oltre 140 Paesi al mondo vige una legislazione che consente al consumatore di sapere l’origine del prodotto che sta acquistando. Quella per il made in non è quindi una battaglia di retroguardia né tantomeno protezionistica ma semplicemente affermare il principio di consentire al cittadino europeo il diritto di effettuare scelte consapevoli nei propri acquisti, diritto che la Commissione ha concesso in altri comparti, ad esempio nel settore alimentare. Continueremo la nostra mobilitazione a cominciare dai contatti con i parlamentari europei e con le nostre sedi associative sia in Italia che a Bruxelles”.
E la protesta ha invaso ovviamente le rete dei social network, dove artigiani e strenui difensori dei prodotti italiani stanno dando vita ad una protesta fatta du accuse ai politici, all'Unione Europea e a chi fa concorrenza sleale. Di sicuro questo è un passo indietro di cui tutti avremmo fatto volentieri a meno, soprattutto in un momento in cui la valorizzazione del prodotto interno è una delle poche ancore di salvezza per l'economia.

Matteo Grazzini

26-10-2012

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